Un ricordo di Emanuele - di Pylade

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Ricordo di Emanuele Gianturco, Socio Fondatore e primo Presidente della FICT

Il  4 giugno ’12  è venuto a mancare Emanuele Gianturco,medico valente, innamorato del suo lavoro tanto da essere un punto di riferimento per generazioni di famiglie di Castelfranco  Veneto ove si era stabilito nel dopoguerra . Nato a Napoli nel 1923, sposa  una bella ragazza veneta (donna Franca) e  si trasferisce definitivamente al Nord, una figlia (Annalisa) ed un figlio (Giulio ),  due nipoti (Tessa e Riccardo) entrambi attaccatissimi al nonno.
Ho conosciuto Emanuele a Fetovaia nell’Isola d’Elba, nel settembre del 1975, mia figlia Silvia
aveva appena sette mesi. La mia passione per la pesca subacquea mi portava ad uscire per mare la mattina presto, avvalendomi di una canoa doppia (Bisport   ASA) acquistata nel 1973
direttamente da Alessandrini . Anche Emanuele amava la canoa, aveva visto la mia e voleva conoscermi, ma i nostri orari non collimavano, così quando finalmente mi vide approdare a riva mi aggredì verbalmente …………………. “Ma a che……. ora scende a mare  che sono giorni che cerco di conoscerla?.........”
Provammo la canoa,  scoprii così cosa voleva dire saper pagaiare: Emanuele aveva una pagaiata regolare, non di forza, la sua era leggera, ma possente, abituata alle lunghe distante, sostenuta da un fisico atletico che manteneva attraverso varie attività sportive (nuoto, corsa, sci di fondo, tennis  ed in seguito surf), stargli dietro non era facile, richiedeva impegno e fatica, lui invece non mostrava stanchezza, ma solo vivo appagamento.
Mi rifacevo nel nuoto, disciplina che lui praticava quasi giornalmente – la mattina prestissimo -  anche in inverno, in quanto aveva la piena disponibilità della piscina di Castelfranco. Ma i miei trascorsi agonistici mi permettevano di ribaltare la situazione  “ma come cavolo nuoti ?” esclamò in occasione della prima nuotata che facemmo insieme verso la punta del golfo magnifico di Fetovaia.
Fu l’inizio di una splendida amicizia, di anni di ferie marine con le rispettive famiglie, di discese in canoa e di partecipazione ai primi raduni, i miei figli lo chiamavano “nonno” e “nonna” donna Franca.
Nel 1976 mi invita ad andare a Chiennes  - Alto Adige, a partecipare al 1° raduno di canoa organizzato da Williams Granacci. Fu una esperienza bellissima,  con una canoa singola (una copia della Olimpia Prijon  come usava all’epoca nei club dove c'erano  canoisti fai da te) prestata da Emanuele, sotto la sua guida - nonché di quella di altri valenti canoisti  - appresi  i primi fondamentali  della canoa fluviale, cosa che segnò il mio innamoramento per la canoa da fiume, nonostante le precedenti esperienze che avevo osato fare con una grossa canoa gonfiabile Pirelli, oppure un singolo gonfiabile della Hutchinson, o con la Bisport nelle acque del Trebbia, nel 1973 quando ero in servizio presso il 50° Stormo di Piacenza.
Così appena c’era una manifestazione di canoa, con un giro di telefonate ci si ritrovava…….. erano gli anni del Taro, dell’Enza, del Santerno, era l’occasione per ritrovarci e per rivedere i nuovi  amici canoisti………. Pirovano (detto Gengis), Baudino, Granacci, Radaelli  Giannetto, Faini, Dal Maso, Monti, Lucchetti, ecc.
Erano gli anni in cui la canoa  spinta dall’impegno di Granacci, del presidente del CCM………….., da Emanuele e Dal Maso nel Veneto, avvertiva la necessità di una organizzazione che il CONI e la CIC non riuscivano a dare, così nel 1977 a Chiennes  fu deciso di costituire la Federazione Italiana di Canoa Fluviale – FICT.
 Emanuele è stato una delle colonne portanti, una pietra miliare per il nostro sport: la sua visione della canoa - anche come strumento terapeutico e di crescita dell’individuo,  del senso della responsabilità - lo portò ad attivarsi verso tale costituzione, il suo  impegno, sommato all’entusiasmo di Granacci convinsero i molti appassionati che erano maturi i tempi e così con i buoni uffici di un Notaio di Castelfranco Veneto fu redatto l’atto costitutivo della nuova Federazione. Il dado era tratto: fortunatamente tra le file dei canoisti di allora potevamo contare su validi avvocati che presto dovettero rintuzzare gli attacchi e le minacce del CONI-Cic , ma questa è un’altra storia tipicamente e assurdamente italiana.
Presidente fu eletto proprio Emanuele, non solo per il suo contributo, altri si erano impegnati anche più di lui, bensì per la sua autorevolezza, per la cultura che spaziava su argomenti diversi,  per l’equilibrio e la capacità di tener testa a quanti non avevano gradito la creazione di una Federazione indipendente.
Una visione della Federazione la sua che metteva al primo posto la sicurezza, lo spirito di gruppo, la necessità di organizzarsi per darsi un aiuto reciproco. Così  volle organizzare corsi per istruttori di canoa,  celebre quello con il campione Roberto D’Angelo, in quella occasione la presenza di
Emanuele e di un altro medico, consentì a Roberto di approfondire aspetti e  terminologie anatomiche e di insegnare, per la prima volta ad un corso,  la tecnica di aggancio in morta o in corrente mediante attacco  in punta. Fino ad allora l’aggancio avveniva  all’indietro, portando le braccia prima in alto e poi dietro la testa,  esponendo in tal modo il canoista al rischio di lussazione delle spalle. I numerosi incidenti occorsi ai canoisti avevano portato Roberto D’Angelo a modificare la tecnica.  Nel medesimo corso Emanuele volle introdurre i basilari concetti di respirazione artificiale, massaggio cardiaco, riduzione delle lussazioni ed altri concetti di pronto soccorso.  Un full immersion di una settimana, teoria, pratica, esercizi di riscaldamento e primo intervento.
Emanuele era un po’ il nostro babbo, ma la differenza di età in quei frangenti non contava,  era un canoista tra canoisti, noi  eravamo a nostro agio con lui e  lui si divertiva anche per questo;  c’era confidenza , cameratismo,  ci  si prendeva in giro vicendevolmente, con rispetto.
Esperienze simili le ricordava spesso  con piacere anche dopo molti anni.
Le tecniche apprese furono prontamente applicate nei confronti  dei molti canoisti che partecipavano al raduno di agosto, con Gengis attuale Presidente della Federazione, ed Emanuele, ci dividemmo i gruppi di discenti, la crescita fu immediata, la sicurezza sempre al primo posto, così in molti cominciarono a scendere i fiumi  e torrenti  fermandosi ad ogni morta, sperimentando agganci ed appoggi in punta, traslazioni laterali ecc., controllando maggiormente la canoa ed imparando a sfruttare a proprio favore la forza della corrente. Il mondo della canoa aveva avuto un nuovo e forte impulso, Emanuele ne era stato il promotore  oltre che l’artefice, e con soddisfazione  scendeva i fiumi e si compiaceva della cresciuta capacità di un numero sempre più grande di canoisti, molti provenienti da regioni poco presenti fino ad allora nel panorama canoistico.
In quel periodo sono stati formati canoisti che, successivamente, hanno scritto momenti significativi della canoa non agonistica : Carlo Pandozy, Ettore Bartolozzi, Maurizio Consalvi, Vladimiro Farina, Jasmin di Terni,Toto Renzo, Gigi Mosca  ed altri ancora.  Negli anni  si è cercato di lavorare sulla sicurezza, sia sollecitando i costruttori di canoa a realizzare modelli con caratteristiche adeguate ai nuovi bisogni, sia lavorando sulla preparazione dei canoisti, di tutti. Così si scendevano fiumi e via via venivamo simulate delle situazioni che richiedevano l’intervento mirato di quanti erano disposti a fare la “sicura”. La tecnica si affinava, i materiali miglioravano, tutti dovevano avere la corda da lancio a bordo, ed il gruppo almeno una pagaia smontabile di riserva, i canoisti acquisivano una confidenza con l’acqua fino a pochi anni prima impensabile.  Una cosa fondamentale, visto che la migliorata resistenza agli urti della canoa invogliava ad affrontare difficoltà sempre maggiori, con i maggiori rischi conseguenti.
 Nei primi anni intorno al 1976, in pochi avevano l’attrezzatura adatta, le mute da sub  impedivano la pagaiata, chi le possedeva certamente non le tagliava, anche perché le occasioni di uscite invernali erano veramente poche. Il freddo era una brutta bestia, dentro e fuori dall’acqua, i “bagni” ti toglievano il fiato e non invogliavano a rischiare manovre più rischiose. Emanuele si impegnò anche su questo fronte, un laboratorio artigiano reperì il materiale elastico  e vennero realizzate giacche d’acqua ad un prezzo super popolare, erano di colore azzurro, belle così non ce le avevano nemmeno i canoisti della nazionale.
 Poi fu la volta delle scarpe in neoprene, il babbo di un canoista del Castelfranco Veneto aveva una fabbrica di scarpe sportive nella zona di Asolo/Montello,  Emanuele  fece azione di convincimento sul proprietario che mise in produzione un buon modello e fu possibile comprare tale indispensabile accessorio a prezzi di favore.
Emanuele minimizzava le sue iniziative, amava dire che le richieste le rivolgeva nel periodo autunnale ed invernale, quando i potenziali fornitori  di attrezzature avevano bisogno dei suoi servigi di medico. Così cominciammo a poter disporre di carrello porta canoe con la scritta della Federazione, nonché  sacchi impermeabili  forniti dalla ditta SETTEF , utili per riporre l’attrezzatura gocciolante ed i panni asciutti.  Cedendo alla Ferrino delle foto fatte all’interno di una grotta nella zona della Masseta  - Scario nel Cilento, foto che  immortalavano due singoli  da mare mod. Alaska del compianto amico  Francesconi, e di lato una tenda da alta montagna mod. Mesnerr  della stessa Ferrino;  Emanuele ottenne dalla Società di poter fornire agli appassionati della canoa un modello di tendina ad igloo (tra le prime) ad un prezzo veramente scontatissimo. Fu così che per anni i raduni si riempirono di tende verdi, tanto da sembrare un campo militare.
Emanuele si dedicò non solo alla canoa fluviale ma si appassionò anche al mare. All’Elba facevamo decine di miglia ogni giorno, tanto da a ffrontare l’impresa di circumnavigarla in un giorno. Impresa riuscita il secondo anno (eravamo nel 1979) utilizzando due canoe da discesa “mod. coda tronca”, per l’occasione fu provata anche una canoa doppia appositamente realizzata da Mondresin , la “Biscimitar” , molto performante per l’epoca, anche se meno comoda della Bisport ASA.  Poi fu la volta della Vogalonga, splendida manifestazione nella laguna di Venezia, per anni appuntamento irrinunciabile, dove Emanuele riusciva a trascinare moltissimi canoisti.
Con   la sua pagaiata dolce ma produttiva affrontava le lunghe distanze con un ritmo che non calava mai, sembrava che accarezzasse l’acqua, una continuità da vero passista, con modestia si rapportava con tutti, si presentava e chiedeva a quanti non conosceva da dove venissero, se erano cani sciolti o meno, prendeva nomi ,indirizzi e telefoni , parlava con tutti, era affabile,  gentile,  sempre corretto ed elegante, era un signore dal fair play innato.  In canoa aveva momenti di silenzio che io rispettavo, una sorta di meditazione, poi  parlavamo, raccontava le sue esperienze di vita, ma sapeva anche ascoltare.
Se sul lavoro era inappuntabile, in altri frangenti  veniva fuori un suo naturale disordine e distrazione; spesso si trovava con tre giacche d’acqua e nessuna grembialina, oppure viceversa. Per rimediare a tali situazioni portava dietro sacchi di materiale….. e di questo, fortunatamente, se ne avvantaggiavano altri distratti. Tendeva a mangiare a qualunque ora, al ristorante sembrava non ricordarsi mai cosa aveva ordinato, ma di una cosa potevamo essere sicuri: il primo piatto che il cameriere annunciava era sempre frutto di una sua richiesta……… così alla fine qualcuno doveva mangiarsi un piatto che non aveva ordinato. Piccola debolezza, accettata con l’affetto che gli abbiamo sempre voluto.
A conti fatti ritengo che la vita sia stata generosa con lui, una bella esperienza lavorativa apprezzata dai numerosi pazienti, una famiglia molto unita, una moglie che lo ha seguito fino all’ultimo, coccolato dall’affetto dei nipoti, certo la vita è una sorta di ruota che gira e prima o poi i dispiaceri arrivano, ma lui complessivamente è stato fortunato.  Nonostante la malattia negli ultimi anni sempre più  gli abbia appannato i ricordi……………… non gli ha tolto quelli  più lontani della canoa.
Abbiamo perso un caro amico un grande uomo, la tristezza è immensa, mentre provo a scrivere queste righe con dolore  penso alla moglie ai figli ed ai nipoti ai quali va il mio pensiero ed il pensiero - allorché nel mondo della canoa si diffonderà la notizia - dei molti canoisti che lo hanno conosciuto ed apprezzato.  Qualche cosa di grande e di consistente mi manca, sento il bisogno di abbracciarvi forte, tutti , familiari ed amici, ma sento che neppure così il vuoto dentro di me si colmerà.

Roberto Polizzy detto Pylade